11 marzo 2010

The tale of Interior eye ovvero la favola dell’occhio interiore.

Non tantissimo tempo fa, passeggiavo in un porto in compagnia di un uomo, forse un amico, forse un fratello, non sapevo, e mi lasciavo andare allo scorrere degli eventi, aspettando che un colore tenue mi invadesse. Vaneggiavo sul da fare per una tornata importante, che mi vedeva catapultato tra cattedrali e uomini, riuniti su grandi tappeti, che facevano dei saloni importanti, un loro habitat naturale.Pensavamo a come far insediare il mio pensiero tra milioni di pensieri di un centinaio di persone volti a energie che non sembravano assolutamente focalizzate al nostro scopo ultimo.Parlando con il mio compagno mi resi conto che gli aggettivi che gli davo all’inizio erano solo degli appellativi, ero con un uomo Felice.Incuriosito, volevo rendermi conto della felicità dell’uomo che era con me, perché aveva quel senso di pace che mi faceva trovare in lui una energia esasperata ed una irruenza che si era chiusa come una ferita profonda nella sua anima. Gli chiesi in modo diretto perché era con me quel giorno. Felice, mi rispose, che nella sua vita aveva cambiato rotta perché aveva trovato insensato quello che faceva da giovane e che avrebbe fatto di tutto per trovare altri uomini che non si contornavano solo di esteriorità, come quelli che aveva conosciuto.
Mi fece capire che in realtà la sua felicità non gli veniva dal comandare dei diseredati, ma dal trovarsi insieme a gente, che non vedevano di buon occhio il vecchio detto, importante per la nostra psiche isolana: “u cummanari je megghiu di futtiri”.
Li capiva, capiva la loro vecchia sofferenza, le loro ferite erano uguali, si erano trovati e sicuramente riconoscendoli non aveva avuto più bisogno di cercare. Il tutto si sarebbe costruito da solo.
Felice mi spiegò la teoria “in tutto il creato è il bene a vincere sempre”.
Infatti dimostrò di conoscere bene le vecchie storie di Trismegisto che voleva dominare il i simboli, ma realmente capì, come me oggi, che ogni uomo è un isola, di un arcipelago molto frastagliato posizionato geograficamente attorno al trentatreesimo parallelo. Il pericolo vero sta nel divincolarsi in quell’intrigo di canali che si dipanano in modo molto insidioso per i naviganti. Uno sbaglio e cozzi in modo irreparabile con le altre terre emerse.Si potrebbe affondare da un momento all’altro, essere fagocitati da una balena e non vedere più la vita se non con una guida, una persona che nel tuo percorso ti può essere vicina, ti può aiutare a trovare la via. Mi fece capire che il passo successivo al paese delle meraviglie, era soltanto la vita di un burattino che lasciato senza fili si ribellava e non trovava pace in questa società che ti vuole invece, essere umano come tutti, legato a sottili fili che solo in pochi manovrano. Intuii dalle sue discussioni astratte che fare dei piccoli spostamenti, impercettibili agli occhi dei burattinai, mi avrebbero dato la felicità di un movimento tutto mio.
Mi stava spiegando, velatamente, che dai micro movimenti sarei arrivato a movimenti sempre più ampi, finché con degli strattoni avrei strappato i fili, mi sarei mosso del tutto liberamente in quel labirinto di isole senza che nessuno potesse farmi sentire in difficoltà.
Lui si muoveva libero e per questo era Felice.<
Alla fine della nostra passeggiata, Felice stese la mano e mi offrì cose di cui non credevo l’esistenza, oro monoatomico e polvere di proiezione, prendendoli da una tasca.
Non vedevo l’altra mano, mi preoccupai, uno sconosciuto con due caramelle.
Già accentarne una è difficile.
Mi fece pensare ad un tranello.
Nessuno ti da niente per niente, ma il mio istinto non mi ingannava mai. Era come se ci fosse un impulso che spingeva ad agire un sesto senso che mi poneva fiducia.
Li ingerii.
Mi trovai da subito catapultato nella ricerca, mondo fatto da estenuanti e tumultuose maratone notturne per leggere i manuali dell’apprendista stregone, mi distoglieva dal mio scopo: il movimento.
Ogni tanto pensavo a quale fosse il movimento che avrei dovuto fare per non insospettire il burattinaio che reggeva le mie fila, ma non avevo tempo e dovevo leggere altro.
Nel mio girovagare però iniziò una musica. All’inizio incomprensibile, piena di allusioni all’odierne sporcizie politiche, poi piano piano mi sembra di sentire in mondo franco il pensiero dell’artista che la battezzava alle nostre cose questa melodia che in realtà era un canzone.
Adesso capivo bene e le parole finali sono una poesia a me già nota che cito poiché mi colpirono molto:
“…..Ma quando ritorno in me, sulla mia via, a leggere e studiare, ascoltando i grandi del passato mi basta una sonata di Corelli, perché mi meravigli del creato.”
Mi illuminai, era palese, il burattinaio era parte del creato.
Allora lo vidi, in alto, che guardava in giù, verso di me e mi accorsi dei fili.
Capii che oro monoatomico e polvere di proiezione non erano semplicemente il modo di sfuggire dalle grinfie del mio burattinaio, ma il sistema di trovarsi a contatto con il creato.
Non erano dei fili reali che arrivavano alle parti del mio corpo, erano fili che entravano nella mia psiche.
Il burattinaio era quello che mi suggeriva i pensieri…..
Allora il vero movimento sta nel pensiero, pensai. Sentii tirare forte, un filo si spezzò subito facendomi un male cane.
Mi viene di fronte il cappellaio matto, ma non più come personaggio di un libro ma come carta da gioco. Il suo ghigno inquietante promette vittorie non sofferte e la sconfitta degli avversari, il rapido ribaltamento della partita. E’ la logica del caos “forza irrefrenabile” scagliata contro “elementi inamovibili”. Questo scavalca tutte le regole, può fare quello che vuole, così è il Bagatto. Rappresenta il caos. Si spezzò un altro cavo che teneva imbrigliato il mio pensiero.
Tutto, si muove con logica per il burattinaio, ma tale logica se volta al caos anche in modo minimo, porta ad un desiderio di tradurre in anarchia ogni cosa, ogni azione, in modo che l’anarchia prenda il sopravvento dimostrando che la medaglia della realtà possiede una sola faccia.
Continuarono a rompersi i cavi, mandandomi le prime volte quasi al Creatore.
Ormai è passato un po’ di tempo, ed oggi mi trovo a combattere il burattinaio perché non vuole rassegnarsi alla realtà dei fatti. La maggior parte dei suoi fili sono ormai tranciati, ma cerca sempre di metterne di nuovi lanciando degli arpioni che fanno appiglio alle mie paure ed alle mie insicurezze.
Fa di tutto per non perdere il suo potere, mi scaglia addosso forze pazzesche ma non capisce che il processo è irreversibile i suoi fili continueranno a staccarsi.
Il concetto di tempo mi ha scavalcato, non mi ha smosso, oggi mi trovo ancora a percorre la strada con Felice. Il caos che ho creato nella mia testa per rendermi libero è ancora in atto e non mi importa di rimanere fermo su un gradino di questa scala ad aspettare per il passo successivo.
Ormai credo tanto in Felice, che per lui ho perfino ucciso aiutanti del burattinaio.
Non mi importa della zizzania che può crescere nel mio percorso. Ho deciso, il caos è solo mio e nessuno mi può fare cambiare rotta, mi districo tra le altre isole vedendo solo dei poveri infelici che non hanno capito e comunque non capiranno il perché di certe azioni. Sono isole piccole anche se sembrano posizionate tutte in punti strategici, arse dal sole dove non esistono sorgenti d’acqua e la vita prospera solo per brevi precipitazioni o per la caparbietà sottraendo un po’ di sale al mare che le circonda. Isole così non vale la pena viverle, nemmeno da naufraghi. E poi ci sono isole invisibili che appaiono di punto im bianco, che sulle tua mappa non sono segnate, sono quelle in cui il drago cinese regna sovrano, nell’umido della sua sorgente, a cui attingere in modo continuo quasi esasperante, dove tutte le navi si fermano. Isole inesistenti con porti dai mille magazzini.
Spesso quando si sgancia un filo del burattinaio, vi approdo o per caso o per destino, e trovo risposte che il drago in modo diretto mi da, senza mezze misure, senza pensare al perché, mi sento protetto da lui.
Sono su questa rotta e non ho ragione, la zizzania non è altro che carburante pulito da mettere nel serbatoio della mia isola che ho tramutato in nave, per continuare a muovermi fino alla fine. Non sento nemmeno il peso di un carico che sto trasportando. Guardo al passato cercando di non affondare tra i ricordi per tracciare nuove rotte e varcare mille altre porte.
Al grosso drago devo molto, così come a Felice. Mi hanno insegnato senza volere nulla in cambio, senza chiedere, come mai era successo prima. Non provo vergogna ad attingere alla loro conoscenza, non voglio dare più peso alle interferenze del burattinaio. Voglio fare terra bruciata attorno a lui, senza bruciare io stesso, per impedirgli di paralizzare il mio pensiero.
Voglio trovare la mia pace, voglio vivere felice e contento come in tutti gli happy ending delle favole, ma ho ancora tanti cavi da tranciare per essere completamente libero.

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